mercoledì 2 dicembre 2020

Uomini e campioni: Maradona e gli altri, il peso di essere grandi. A pochi giorni dalla morte di Diego Armando Maradona, una riflessione sulla fragilità di un idolo.



Diego Armando Maradona è mancato ormai da qualche giorno, eppure l'eco della sua morte continua a riecheggiare da quel mercoledì sera in cui il mondo ha scoperto di aver perso per sempre 'El Pibe de oro'. Innumerevoli sono i commenti e le riflessioni che si susseguono dopo la tragica e prematura dipartita di uno dei più grandi campioni del calcio mondiale, a tratti il più grande.

Cosa è stato Diego Armando Maradona per il mondo intero? Un simbolo, quello del riscatto di un'intera nazione, l'Argentina, di una città, Napoli, riportata all'apice del calcio internazionale grazie alle sue prodezze e che si è vista restituire l'orgoglio, l'appartenenza ad una maglia, ad un colore, ad una bandiera, da troppo tempo perduti.

Questo era il campione, generoso nelle sue giocate sopraffine, talentuoso da essere amato trasversalmente, non solo dai suoi tifosi, ma anche e soprattutto dai suoi avversari che ne hanno sempre riconosciuto e ribadito la grandezza. E poi c'era l'uomo, quello un po' guascone, latin lover, immerso nei suoi vizi, nei suoi contatti poco edificanti, in uno stile di vita dissoluto che strideva un po' con la parola 'campione'.

Ma cosa significa essere idoli? Cosa significa essere campioni? Qualcuno ha detto, in maniera molto superficiale ed opinabile: era solo un "tossicodipendente" e un "fedifrago". Sì, probabilmente nel suo privato è stato anche quello ed era il primo ad ammetterlo, ma le persone per quale motivo lo hanno amato?

Per le sue magie in campo o per la sua discutibile vita personale? La risposta vien da sé: se si usasse questo metro di giudizio per ogni idolo, musicale, sportivo o letterario che sia, si continuerebbe ad amarlo con la stessa intensità? Indubbiamente no. La domanda, però, è un'altra: tali personaggi vengono amati per ciò che sono fuori dal campo o da un palcoscenico o per ciò che regalano nell'esecuzione delle loro arti, nelle emozioni che sono in grado di trasmettere di fronte ad un gol da fuori area o ad una canzone magistralmente interpretata?

Diego Armando Maradona sarà sempre quello del gol in dribbling all'Inghilterra, come Freddie Mercury, per citare un altro grande, sarà sempre colui che ha scritto Bohemian Rhapsody e altri capolavori, non 'quello morto di Aids' una sera di novembre del 1991. 

Le sensazioni che un tifoso o un fan provano prescindono dalla caratura morale dell'individuo, ben vengano quando coincidono, ma in caso contrario il ruolo di chi li segue dall'esterno è vivere quell'emozione, assaporare quell'attimo di felicità che quel gesto o quel brano sono in grado di regalare, al di là delle abitudini personali dell'uomo che vi è dietro.

Dunque, non si può chiedere ad un fan di non commuoversi quando in tv riproporranno vecchi filmati dei gol di Maradona, chiunque lo ha fatto e lo continuerà a fare, non si può chiedere di non continuare a parlare di lui e di ciò che ha saputo donare, non si può continuare a dire che Diego Armando Maradona non fosse un esempio, non lo era forse per se stesso ed i suoi figli, ma lo era e lo è ancora per chi ha cominciato a sognare osservando le sue magie, per chi in un pallone ha visto la speranza e la possibilità di scappare da un destino ormai segnato. Qualcuno ha detto che finché ci sarà un bambino con un pallone tra i piedi su un marciapiede o un campetto di periferia, pronto a rotolare di gioia all'ennesimo gol realizzato al suo compagno di giochi, la vita continuerà.